La delocalizzazione è un fenomeno economico legato al sistema delle attività produttive. Con il termine delocalizzazione si intende la scelta di spostare un'attività economica da un luogo d'origine ad uno di destinazione, allo scopo di ridurre i costi della produzione.
La scelta di una nuova ubicazione può essere motivata in vari modi.
Nella lista che segue ne citiamo alcuni:
o Vicinanza al mercato di vendita. Maggiore vicinanza della nuova ubicazione al mercato di destinazione dei prodotti. La vicinanza del luogo di produzione al luogo di vendita riduce notevolmente i costi di trasporto.
o Costo del lavoro più basso. Minore costo del lavoro nella nuova ubicazione dell'attività produttiva, indipendentemente dal mercato di destinazione dei prodotti. Ad esempio, appartiene a questa categoria la tendenza alla delocalizzazione delle attività produttive verso i paesi asiatici in cui il costo del lavoro è minore.
o Minore carico fiscale. Una impresa può decidere di evitare un carico fiscale elevato trasferendo l'attività produttiva in un'area a minore pressione fiscale o caratterizzata dal riconoscimento di agevolazioni fiscali (es. economie in via di sviluppo).
Qualunque sia la motivazione particolare, ciò che spinge una impresa alla delocalizzazione è essenzialmente la massimizzazione del profitto e la minimizzazione dei costi. Entrambi questi elementi sono fattori determinanti della competitività di una impresa sul libero mercato e, pertanto, sono fondamentali per la sua stessa sopravvivenza.
Delocalizzazione e occupazione
La delocalizzazione non è soltanto un argomento di natura economica ma anche un argomento con forte valenza sociale e politica. Se da un lato la delocalizzazione aumenta la competitività dell'attività produttiva, dall'altro aumenta la disoccupazione del paese di origine. Ciò accade, in particolar modo, se i lavoratori fuoriusciti dalle attività produttive non sono reimpiegati in altre attività lavorative nell'economia locale. L'aumento della disoccupazione equivale ad un costo sociale a carico della collettività.
Delocalizzazione e sfruttamento
La delocalizzazione non va confusa con lo sfruttamento. Si parla di sfruttamento nel caso in cui la delocalizzazione sposta l'attività produttiva nei paesi in cui sono negati i diritti fondamentali dell'uomo (es. lavoro minorile, scarsa sicurezza dell'ambiente del lavoro ecc.). Il confine tra diritto alla minimizzazione dei costi e sfruttamento è soprattutto un argomento soggettivo. Da questo punto di vista la delocalizzazione è soprattutto un argomento appartenente all'universo della politica e del diritto.
Le imprese italiane scelgono sempre di più la strada dell'internazionalizzazione: lo rivela un'indagine dell'Istat; la ricerca, che ha preso in considerazione le imprese italiane dell'industria e dei servizi italiani con più di 50 addetti, ha cercato di individuare le società internazionalizzate, ossia quelle aziende che hanno intrapreso, in tutto o in parte, attività economiche all'estero nel periodo considerato, sia attraverso l'avvio di nuove funzioni che grazie al trasferimento di quelle precedentemente svolte in Italia.
Internazionalizzazione più spinta per le imprese industriali
Secondo lo studio Istat, nel periodo 2001-2006, circa 3.000 imprese, pari al 13,4% delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno avviato processi di questo tipo. In particolare, il 9,9% di quelle con almeno 50 addetti ha trasferito all'estero attività o funzioni precedentemente realizzate in Italia, il 7,3% ha sviluppato all'estero nuove attività, mentre il 3,8% ha realizzato congiuntamente trasferimento e sviluppo.
L'internazionalizzazione ha interessato maggiormente le imprese industriali (17,9%) rispetto a quelle operanti nel settore dei servizi (6,8%). Anche la dimensione aziendale ha rappresentato una discriminante importante nelle scelte di outsourcing: per il settore industriale tali scelte hanno riguardato il 45,4% delle grandi imprese e soltanto il 14,2% di quelle medie.
Trasferimenti più accentuati per le attività economiche nuove
Per lo sviluppo all'estero di nuove attività, le imprese intervistate hanno dichiarato di realizzare soprattutto produzioni per nuovi mercati (67,6%). Per quanto riguarda, invece, il trasferimento all'estero di attività già esistenti, è risultato più accentuato per le attività economiche (5,9% delle imprese con almeno 50 addetti) rispetto alle funzioni aziendali (4,4%). In particolare, le funzioni aziendali che presentano incidenze più significative di delocalizzazione sono il marketing, le vendite e i servizi post-vendita, inclusi i centri assistenza e i call center, la distribuzione e la logistica e i servizi amministrativi, contabili e gestionali.
India e Africa le mete del prossimo futuro
Ad attirare di più le imprese italiane nel periodo 2001-06 è stata l'Europa, verso la quale si è indirizzato il 55% delle imprese internazionalizzate. In particolare, il 24,1% ha trasferito attività nella vecchia Unione a 15, il 20,6% nei nuovi stati membri e il 10% nei Paesi europei non membri della Comunità. Nel resto del mondo si distinguono Cina (16,8%) e Usa e Canada (complessivamente 9,7%), seguiti da Africa centro-meridionale (5%) e India (3,7%). Le previsioni per il periodo 2007-09 segnalano invece un arretramento della quota dei trasferimenti verso l'Unione a 15 ( 14,8%) e verso il Nord America (7%), un leggero rallentamento della quota della Cina, e una forte crescita degli investimenti in India, Africa e nei paesi europei extra UE.